«Pietro, apostolo di Gesù Cristo, ai fedeli che vivono come stranieri, dispersi» (1 Pt 1,1). Il cristiano, come il suo Dio, è santo in quanto diverso: in una condizione di straniamento, ovunque emarginato, sempre ai margini, perché è stato toccato dal suo Signore ed ora lo rincorre, ha seduto alla sua mensa ed ora è alla ricerca di quella casa. Il pellegrinaggio per lui non è una fase transitoria; è piuttosto la sua condizione definitiva: perché amare è la simultanea crescita di comunione e separazione, di unità e molteplicità, di ritorno ed esodo. Il cristiano è santo in quanto sia permanentemente per via; o, che è lo stesso, in quanto rimanga per sempre sulla soglia (Sal 84/83,11). Sulla soglia ovviamente non si può stare; è fatta piuttosto per essere oltrepassata: non una volta soltanto però, ma infinitamente, da una parte e dall’altra. L’esodo è fatto per il ritorno, certo; ma ogni arrivo, a sua volta, è fatto per la partenza. Circolarità di Iliade ed Odissea: non maledizione di Sisifo, però, che ad ogni passo riscivola a valle, ma benedizione degli amanti, per i quali ogni giorno è al tempo stesso primo ed ultimo giorno, incontro sempre nuovo e tanto antico; non condanna a morte, madre matrigna che uccide i suoi figli, bensì eternità dell’amore, fatta di giorni ognuno dei quali è momento unico, occasione propizia, kairós, anno di grazia (Lc 4,19-21), sabato del Signore: «affrettiamoci dunque a entrare in quel riposo» (Eb 4,11).
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